Il ministro Bianchi vorrebbe superare la didattica tradizionale. Galimberti: "La lezione frontale è essenziale"

di: - 03/02/2023

Superamento della lezione frontale a favore di metodologie didattiche innovative e digitali: è quello che vorrebbe proporre il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che ha sottolineato anche nel suo atto di indirizzo: "è prioritario continuare a promuovere la sperimentazione e la diffusione capillare in tutte le scuole di nuove metodologie didattiche, orientate al superamento del modello di insegnamento tradizionale di stampo trasmissivo, incentrato sulla lezione frontale", si legge sul testo dell'atto di indirizzo del Ministro Bianchi.

Questa è una visione di scuola che guarda al futuro e di certo molto innovativa, forse troppo. Per questo è vista in modo critico da tanti insegnanti e formatori, in particolare il filosofo Umberto Galimberti, che invece invita ad essere prudenti sul concetto di innovazione applicato alla didattica.

Galiberti: «gli alunni hanno bisogno di autorevolezza»

Per Umberto Galimberti, la lezione frontale è molto importante: in un intervento sul Venerdì di Repubblica, il filosofo spiega: “La lezione frontale, che molti pedagogisti vorrebbero abolire, è invece essenziale. Disporre ad esempio gli studenti in circolo con il professore che gira in mezzo a loro, come suggeriscono certe proposte, crea un rapporto di familiarità che diminuisce l’autorità dell’insegnante, di cui i ragazzi, anche se non sembra, hanno un estremo bisogno e di cui sono alla ricerca”.

“Un’autorità – prosegue Galimberti – non imposta dal ruolo del docente, ma conferita dagli studenti al professore perché ne riconoscono il valore“.

Sull’uso sempre più frequente dei mezzi digitali nella didattica, altro pallino del Ministro Bianchi, Galimberti ribadisce quanto detto in passato, ovvero la sua contrarietà, dato che questi mezzi sono già usati “abbondantemente, quasi fossero una protesi del loro corpo".

Galimberti: “Veniamo continuamente sondati da algoritmi che non ci dicono chi siamo, ma a cosa serviamo”

Significativa è anche l'intervista che Galimberti ha rilasciato alla Stampa in occasione dei suoi 80 anni, dove parla anche dell'università e afferma che in Occidente, il mondo accademico avverte le ferite, ma cerca di sanarle usando le stesse armi e perseguendo gli stessi obiettivi che hanno contribuito a produrle.

È ormai evidente l’ansia di restaurare il modello utilitaristico costruito negli ultimi trent’anni, che ormai rivela tutte le sue falle. 

In questo mondo i “clienti” – ossessionati da crediti e debiti – vanno “formati” in un ambiente “competitivo”, governato da una gerarchia di tipo “aziendale”.

Per contro, l’università normativa, rovesciata dal modello utilitaristico, mirava alla educazione e non alla formazione, si fondava sulla condivisione e non sulla competizione, era una democrazia e non un sistema gerarchico aziendale, promuoveva la maturità e non agitava il bilancino debitorio e creditorio, puntava al sapere e non al prodotto, e gli studenti erano allievi, non clienti. Questo modello ha promosso un progresso enorme negli ultimi due secoli, prima di essere soppiantato dall’utilitarismo.

Galimberti sulla scuola digitale


In un'altra intervista comparsa sull'Huffington Post, Galimberti parla dei risvolti della scuola digitale: “Anche l’eccessiva digitalizzazione della scuola può generare una variazione nella capacità di pensare dei più giovani. Sappiamo che il computer insegna a ragionare con il codice binario 0/1: forse è per questo che i ragazzi, posti davanti a un interrogativo, sanno dire solo ‘sì’, ‘no’ o al massimo ‘non so’. O, se vengono invitati a esprimere il loro parere su questioni importanti, si dichiarano spesso semplicemente ‘favorevoli’ o ‘contrari’, senza mostrare sforzo di articolazione o problematizzazione. Le loro sono risposte dicotomiche, da codice binario”.

«Chi non ha empatia non dovrebbe stare in cattedra»

Anche per insegnare il dialogo la scuola dovrebbe essere ripensata?
Nella stessa intervista, Galimberti prosegue: “Se la scuola avesse funzionato, da trent’anni a questa parte non saremmo arrivati al populismo. Oggi i problemi del sistema scolastico sono principalmente due. Il primo è oggettivo: le classi non possono essere composte da trenta alunni, ma al massimo dodici-quindici, altrimenti è impossibile riconoscere le differenti intelligenze (si privilegia sempre quella logico-matematica, ma esistono quella artistica, quella musicale, perfino quella corporea) e tanto meno i diversi percorsi emotivi. Il secondo problema è soggettivo: c’è bisogno di insegnanti dotati di un’adeguata preparazione di psicologia dell’età evolutiva ma anche di empatia, che è una qualità naturale e non può essere imparata. Chi non la possiede, per il suo bene e per quello degli studenti che vivono la delicata fase dell’adolescenza, non dovrebbe stare in cattedra”.